La varicella è tra le malattie esantematiche dell’infanzia più note a genitori e nonni. Fa parte infatti dei 6 esantemi “famosi per tradizione”, insieme a morbillo, rosolia, scarlattina, quinta e sesta malattia. In realtà i possibili esantemi infantili sono ben più di 6! Basti pensare ad esempio alla mani-piedi-bocca o alla miriade di esantemi minori para-virali che si associano alle più svariate infezioni febbrili e non, e che sono talora tanto banali che non hanno ricevuto nemmeno un nome specifico che li distingua. Ad ogni modo, di fronte a un bimbo con febbre ed esantema, ancor oggi il primo pensiero di mamma e papà va quasi sempre a uno dei 6 esantemi v.i.p. sopra citati ed è quindi dovere del pediatra rasserenare la famiglia su di essi. In questo articolo focalizziamo l’attenzione sulla varicella cercando di capire come riconoscerla, come gestire le persone che ne vengono a contatto (specie donne incinte o che allattano!), quando può avere un decorso grave e quando somministrare immunoglobuline o aciclovir. Parleremo poi negli ultimi paragrafetti del vaccino anti-varicella. Buona lettura!
La varicella si manifesta tipicamente con un’eruzione cutanea di tipo vescicolare, più o meno prurigionosa, spesso associata a febbre (ma non sempre!) che di solito appare poco elevata.
Tale esantema inizia il più delle volte alla testa, volto e tronco per poi diffondersi agli arti. In fase iniziale le lesioni cutanee si presentano spesso come maculo-papule (macchiette e piccoli rilievi rossastri… simili a brufoletti!) che però in poco tempo evolvono nelle classiche vescicole ripiene di siero chiaro.
Due elementi suggestivi che consentono al pediatra di orientarsi con decisione verso diagnosi clinica di varicella sono:
Anche la stagionalità può indirizzare nella diagnosi: nonostante sia possibile rilevare casi di varicella tutto l’anno si rileva un picco di frequenza nel tardo inverno-inizio primavera.
Assolutamente NO. La diagnosi è clinica e basata sulla visita pediatrica. Solo in casi dubbi o liddove il pediatra lo ritenga strettamente necessario per motivi specifici legati al singolo paziente, è comunque possibile isolare il virus nel liquido vescicolare e/o dosare gli anticorpi anti-varicella nel sangue (che però risulteranno positivi dopo 10-14 giorni dall’esordio!).
La gravità dei sintomi può variare da individuo a individuo. Si va infatti da “forme leggere” caratterizzate da poche vescicolette e febbre scarsa/assente (ai limiti del dubbio diagnostico!) a forme esplosive ove il corpo straborda di vescicole e la febbre raggiunge occasionali picchi elevati. Va però detto che nella fascia 1-9 anni il decorso clinico è solitamente blando, raramente complicato e viene superato brillantemente dalla maggioranza dei bimbi.
Esistono però casi di varicella complicata caratterizzati da evolutività in condizioni come:
Tali complicazioni sono abbastanza rare. E’ bene comunque rivolgersi al proprio pediatra allorchè compaiano sintomi come tosse particolarmente persistente, difficoltà a camminare, intenso abbattimento e torpore.
Purtoppo SI. Il tasso di mortalià è per fortuna basso rispetto ad altre patologie potendo variare in base all’età e l’immunocompetenza. Stando a quanto riportato nel Trattato di Pediatria Nelson 18th edizione (vedi bibliografia) si riportano qui i tassi di mortalità globali e stratificati per età e tipologia di paziente:
Stratificando per fasce di età:
Età compresa tra 1-9 anni | <1 decesso ogni 100.000 casi |
Età inferiore a 1 anno | 4-12 decessi ogni 100.000 casi |
Età adolescenziale/adulta | 25-75 decessi ogni 100.000 casi |
Pazienti immunodepressi in assenza di terapia antivirale | 7.000-14.000 decessi ogni 100.000 casi |
Da questa tabella si capisce perchè in bambini di età 1-9 anni non è indicato somministrare aciclovir nella gran parte dei casi, e se non dopo indicazione del pediatra in base al caso specifico, mentre invece nelle altre fasce vi è quasi sempre indicazione al trattamento antivirale.
I “danni minori” che possono conseguire alla varicella sono:
In primis c’è da dire che il secondo caso in famiglia solitamente presenta sintomi più intensi rispetto al fratellino/sorellina che l’ha presa a scuola. Il secondo bimbo che la prende in famiglia viene infatti esposto a una carica virale maggiore e per più ore al giorno rispetto al fratellino/sorellina che l’ha presa a scuola tramite contatto meno duraturo e intenso.
Detto ciò vanno poi sottolineate una serie di categorie a rischio di decorso complicato:
Sembrerebbe dunque che la fascia a minor rischio sia appunto quella che va da 1 anno di vita fino alla pubertà.
E per i neonati da madri immuni? E per le donne che allattano? Bisogna sospendere o continuare l’allattamento? Protegge quest’ultimo dalla varicella? A tali domande risponderò negli ultimi due paragrafetti Varicella e gravidanza e Varicella e allattamento.
Il virus che causa la varicella si chiama VZV (Varicella Zoster Virus). Tale nome dipende appunto dal fatto che esso può causare sia la varicella che lo zoster cutaneo. In che modo?
Il VZV può passare da un individuo all’altro in vari modi a seconda se l’individuo che lo veicola abbia varicella oppure zoster.
Allorchè il VZV incontra un individuo non-immune il periodo di incubazione (ovvero tra l’ingresso del virus nell’organismo e i primi sintomi) può variare da 7 a 21 giorni ma è in media di 14 giorni.
La varicella (infezione primaria) si prende una sola volta nella vita. Lo zoster (riattivazione del virus) può invece recidivare più volte. Per tali ragioni il contagio del VZV può avvenire solo verso individui che non abbiano mai avuto la varicella (soggetti non-immuni). Chi già l’ha avuta possiede invece anticorpi specifici che prontamente bloccano il virus al suo ingresso nell’organismo.
Assolutamente NO, non è possibile. Molti genitori temono il contagio indiretto della varicella (ovvero che un figlio la prenda a scuola e la porti a casa al fratellino o sorellina neonati, senza svilupparla in primis lui stesso!). Ciò non è possibile e solo individui che sviluppino effettivamente varicella o zoster possono contagiare altri individui non-immuni.
Tale preoccupazione per contagio indiretto viene espressa il più delle volte con le seguenti 2 domande:
E’ invece leggermente diverso il caso in cui…
Come comportarsi quando si entra in contatto con individui affetti da varicella o da zoster? Molti di voi lettori saranno finiti su quest’articolo proprio per dar risposta a questa domanda. Vostro figlio è stato a casa dell’amichetto che ha poi sviluppato varicella? E’ stato preso in braccio dal nonno che si è poi accorto di avere lo zoster?
Per rispondere dobbiamo mettere a fuoco se il bersaglio di tale esposizione al VZV è un soggetto a rischio di decorso complicato o meno.
Se tornate alla Tabella 1 vi renderete conto che nei bambini di 1-9 anni vi è basso rischio complicazioni e tutto ciò che bisogna fare dopo esposizione a casi di varicella è vigile attesa dei primi sintomi al fine di isolare prontamente il bimbo. Eventuali terapie antivirali (aciclovir) andranno avviate solo sotto indicazione del pediatra (vedi paragrafi successivi dedicati alla cura).
Nei pazienti a maggior rischio complicazioni (vedi elenco sopra riportato) è ragionevole invece ricorrere a misure di prevenzione post-esposizione che (attenzione!) pur non essendo sempre efficaci nel prevenire la malattia raggiungono spesso l’obiettivo di attenuarne decorso e gravità. Vediamo le misure preventive a disposizione:
La terapia della varicella è sintomatica, ovvero mirata ad attenuare il disagio arrecato dai sintomi (febbre, vescicole, prurito). Una vera e propria terapia eziologica, mirata a combattere il virus VZV stesso, non è necessaria nè indicata se non in casi selezionati e va discussa col proprio pediatra.
Al fine di alleviare comuni sintomi quali febbre, disagio e prurito, vengono solitamente utilizzati:
Al fine di ridurre la replicazione del virus (terapia eziologica) può essere iniziata entro 24 ore dall’esordio dell’esantema al fine di attenuare il decorso della malattia in casi a rischio di decorso grave selezionati dal pediatra:
Il vaccino anti-varicella è proposto nell’ambito dell’attuale piano vaccinale tra i 13-15 mesi di vita con 2° dose tra i 5-6 anni di età. E’ possibile somministrarlo contestualmente al vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia (Priorix Tetra) o a breve distanza da questo (Varilrix, Varivax).
L’efficacia del vaccino anti-varicella è circa l’80% nel prevenire la malattia. Quindi il 20% dei soggetti vaccinati contrae comunque la varicella. La durata dell’immunità dopo vaccino è circa 8 anni.
Perchè dunque vale la pena vaccinare? I motivi sono molto semplici…
Il primo dato importante è che a fronte di un’efficacia dell’80% nel prevenire la malattia tale vaccino presenta un’efficacia >95% nel prevenire un decorso grave della malattia. Ed è proprio questo l’effetto più ambito!
Ci sono però altri due motivi per cui è importante vaccinare per varicella, uno altruistico e l’altro egoistico:
Come ogni vaccino a virus vivo atenuato anche il vaccino anti-varicella trova controindicazione liddove vi siano:
Vi sono infine diverse segnalazioni in letteratura che indicherebbero un accresciuto rischio di convulsioni febbrili derivante dalla co-somministrazione morbillo-parotite-rosolia-varicella (vedi bibliografia). E’ per questo che molte Asl preferiscono praticare il vaccino anti-varicella a distanza dal trivalente MPR, abbattendo cosi tale rischio.
Se non si è certi di aver contratto la varicella prima della gravidanza e non si è vaccinati bisogna controllare il titolo anticorpale anti-varicella poichè la malattia, se contratta in gestazione, può avere un decorso severo mettendo in pericolo madre e feto.
Sono incinta e ho avuto contatto con varicella? Che faccio?
Di sicuro qualcuna di voi lettrici si starà ponendo questa domanda. E’ raccomandabile discutere col proprio ginecologo l’opportunità di prevenire la varicella mediante somministrazione di immunoglobuline (VariZIG oppure IGIV) entro 4 giorni al massimo dal contatto.
Se non si riesce a farle in tempo si raccomanda allora di porre massima attenzione ai primissimi sintomi di varicella e valutare di iniziare, dopo aver discusso col proprio ginecologo, il trattamento con aciclovir.
Ho avuto contatto con varicella e partorirò tra pochi giorni… cosa rischio?
Altro periodo a rischio è quello a ridosso del parto: se infatti la madre sviluppa la varicella da 5 giorni prima a 2 giorni dopo il parto il bambino può contrarre la varicella perinatale, malattia che può avere un decorso molto severo.
E i neonati da madri già immuni a varicella?
Chi nasca da madre cha ha già avuto in passato la varicella (o che sia vaccinata!) ha già ricevuto gli anticorpi anti-varicella dalla placenta e sarà protetto nel primo anno di vita (in particolare nei primi 6 mesi!) e non presentando particolari rischi rispetto al resto della popolazione. Tutto ciò però a patto che la gravidanza sia giunta al termine (oltre le 37 settimane) e che la placenta sia stata ben funzionante, altrimenti sussiste il rischio che gli anticorpi di tipo IgG materni anti-varicella non passino a sufficienza nel feto.
Il latte materno protegge dalla varicella?
O meglio: se io madre ho avuto la varicella da bambina e adesso sto allattando, passo anticorpi protettivi al piccolo? Mi dispiace deludere le aspettative ma purtroppo la risposta a questa domanda è NO, Nonostante l’allattamento materno sia sempre raccomandabile per mille altri benefici, non è possibile affermare che esso protegga dalla varicella in quanto gli anticorpi che passano attraverso il latte materno sono di tipo IgA mentre la protezione da varicella deriva da anticorpi di tipo IgG (che passano invece al nascituro attraverso la placenta a fine gestazione e non attraverso il latte!).
Se ho la varicella devo sospendere l’allattamento?
La raccomandazione è di separare il neonato dalla madre, in quanto un’infezione da VZV in un neonato potrebbe avere un decorso severo. Di fatto quindi l’allattamento al seno della madre andrebbe interrotto per evitare il contagio aereo o da contatto diretto. Va però detto che se la madre non presenta lesioni sul capezzolo e vuole tirare il latte per farlo dare al piccolo da un’altra persona, è possibile farlo in quanto il virus non viene secreto nel latte.
E se ho lo zoster in allattamento?
In questo caso posso continuare ad allattare. In caso di zoster il neonato ha anticorpi protettivi di tipo IgG trasmessi dalla madre per via placentare prima del parto (se nato a termine!). Ovviamente il buon senso vuole che per ridurre al minimo la carica virale cui il neonato sarà sottoposto è buona norma coprire la zona dello zoster ed evitarne il contatto diretto col piccolo, oltre a lavarsi frequentemente le mani.
- Nelson Textbook of Pediatrics 18th edition
- Red Book XXVIII Edizione
- http://www.babyfeedingmatters.co.uk/infections.php
- http://kellymom.com/bf/can-i-breastfeed/meds/vaccine-protection/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25075803
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